Peter Diamandis, fondatore dell’X Prize e della Singularity University, ha recentemente posto una domanda importante ai suoi follower su X, suscitando risposte illuminanti da parte della sua vasta community. In particolare, un giornalista ha sottolineato il fatto che il Bitcoin, in 15 anni di esistenza, non ha mai mancato di svolgere correttamente il suo compito principale, ovvero l’esecuzione di nuovi blocchi di transazioni con una frequenza media di dieci minuti, rimanendo inossidabile a livello base della blockchain.

La frase “troppo grande per fallire” ha origine durante la crisi finanziaria del 2008, quando il governo statunitense intervenne per salvare banche e istituzioni finanziarie considerate fondamentali per l’economia. Il dibattito sul salvataggio delle istituzioni finanziarie “troppo grandi per fallire” ha diviso l’opinione pubblica tra chi reputava ingiusto far pagare ai contribuenti i costi delle azioni irresponsabili delle banche e chi riteneva indispensabile evitare il caos economico che sarebbe scaturito dal fallimento di istituzioni così vitali.

La domanda posta da Diamandis sul Bitcoin, se sia anch’esso “troppo grande per fallire”, porta ad una riflessione interessante sulle differenze tra la criptovaluta e le istituzioni finanziarie tradizionali. Pur non essendo suscettibile di un salvataggio governativo, il Bitcoin si è dimostrato capace di autoregolarsi grazie alla sua natura decentralizzata e alla partecipazione attiva dei suoi detentori a lungo termine. L’impegno e la fiducia di questa vasta comunità di sostenitori hanno contribuito a stabilizzare il prezzo e a garantire la continuità della criptovaluta nonostante le oscillazioni del mercato.

In definitiva, l’interrogativo sollevato da Diamandis ci invita a considerare il potenziale resiliente del Bitcoin rispetto alle tradizionali istituzioni finanziarie, ponendo l’accento sull’importanza della decentralizzazione e della partecipazione comunitaria nel garantirne la longevità e stabilità.